Nostra patria è il mondo intero. L’esperienza dell’esilio di Oreste Ristori.

Il 2 dicembre 1943 vennero fucilati al poligono di tiro delle Cascine a Firenze cinque antifascisti prelevati dalle carceri delle Murate, per rappresaglia in seguito all’uccisione da parte dei partigiani di Gino Gobbi, che fin dai primi giorni dell’occupazione tedesca e poi come comandante del distretto militare di Firenze è responsabile di soprusi e rappresaglie contro i disertori e i renitenti alla leva per il nuovo Stato Repubblicano Fascista. I fucilati erano tre comunisti – Armando Gualtieri, Luigi Pugi e Orlando Storai – e due anarchici – Gino Manetti e Oreste Ristori. Le vittime furono velocemente seppellite in luogo che rimase sconosciuto per anni.

Ad Empoli c’è una mobilitazione per ricordare uno dei compagni, Oreste Ristori, con due giornate che prevedono interventi di studios* italiani e del biografo, Carlo Romani, con la presentazione del suo volume tradotto in italiano dalla BFS, Oreste Ristori. Vita avventurosa di un anarchico in Toscana e Sudamerica. Varie realtà politiche anarchiche e vicine all’anarchismo hanno promosso la formazione di un comitato per la posa di un monumento in ricordo di Oreste Ristori.

Ma chi era Oreste Ristori e perché all’età di 69 anni, notevoli per quel periodo storico, si trovava al carcere delle Murate? L’azione che per l’ennesima volta lo aveva riportato in carcere fu quella di partecipare alle manifestazioni per festeggiare la caduta di Mussolini nella speranza della fine del fascismo nel luglio 1943 per le strade di Empoli, dove risiedeva da pochi anni, dopo lunghi periodi di esilio prevalentemente in Sudamerica.

Oreste era nato nel 1874 poco lontano da Empoli, in una frazione di San Miniato di Pisa, da una famiglia poverissima di lavoratori pigionali, residente in un’abitazione collettiva molto povera. Trasferitosi ad Empoli in cerca di lavoro, la famiglia impegna, come il solito tutti i membri nella ricerca di qualche lavoretto per mangiare e cosi Oreste cresce in un ambiente di grande povertà senza grandi possibilità di poter frequentare la scuola, venendo però in contatto con persone simili che discutono di politica, di anticlericalismo, di anarchia nelle fiere e nelle cantine attorno ai mercati.

Non ha ancora vent’anni quando tutto questo apprendistato si concretizza in una manifestazione a San Miniato dove viene arrestato; altrettanto avviene per la sua partecipazione ai moti per i caroviveri del 1894, duramente repressi con anni di carcere e confino. E qui si ha l’iniziazione di Oreste al domicilio coatto a Porto Ercole nel 1895, da dove riesce, con altri, a fuggire, finendo quindi in luogo ancora più distante e segregante, alle isole Tremiti. Nella sua lunga vita di militante indomito conoscerà numerosi luoghi di confino: Ponza, Favignana, Ustica, Tremiti, persino l’isola di Martin Garcia in Argentina e il terribile campo di Ronald Garros per rifugiati dopo la fine della guerra civile spagnola.

Insomma Oreste fu uno dei tanti rivoluzionari “cacciati dalla terra”, “raminghi” per il mondo come cantano tante canzoni anarchiche e secondo uno stereotipo che è realistico ma limitato. Forse perché di persone come Oreste ne ho conosciute tante attraverso i documenti ufficiali del sistema repressivo statale, le loro memorie, qualcuno, non pochi, anche attraverso le loro voci e credo che sia possibile delineare una storia molto più complessa e importante per l’anarchismo.

Quindi cercherò, come ha fatto il suo biografo, Carlo Romani, di esplorare brevemente cosa ha comportato per Oreste (e per molte altre persone che hanno vissuto vite simili) l’esperienza del confino, dell’esilio che ha caratterizzato la maggior parte della sua vita. Cercherò insomma di capire quanto questa vita nelle varie parti del mondo, per quanto dolorosa, abbia permesso ad Oreste, come a tanti altri, di acquisire esperienze, conoscenze, contatti che hanno arricchito le loro vite e ne hanno fatto dei militanti importanti per questa circolarità di esperienze che è stata molto importante anche per l’evoluzione dell’anarchismo in senso sociale.

Negli anni della crisi di fine secolo Oreste è costretto a rifugiarsi a Marsiglia dove esiste una folta presenza di italiani; dal 1902 al 1936 vivrà in Sudamerica fra Argentina, Brasile e Uruguay, paesi dove la presenza di militanti della lotta di classe italiani si intreccia con un proletariato di migranti – provenienti da varie nazioni, molti dei quali italiani – militanti combattivi che daranno vita a grossi scioperi, strutture organizzative del movimento operaio, come la FOAS, poi FORA che è la prima struttura federativa nazionale.

Proviamo a vedere, attraverso l’esperienza di Oreste Ristori (grazie alle ricerche di Carlo Romani su di lui, ma anche grazie a una ricca storiografia su cosa significò l’ambiente transnazionale e internazionalista per molti migranti economici o politici, ammesso che questa distinzione abbia un senso), come l’ambiente del confino e dell’esilio cambia la sua personalità, la sua visione della vita e della azione politica, radicalizzando e rendendo molto più efficace la sua azione.

Partiamo dagli anni di carcere e confino durante i quali, accanto alla durezza della situazione ci sono fatti positivi come il contatto quotidiano con compagni di notevole valore, cultura ed esperienza che uomini come lui analfabeti incontrano; penso a Pasquale Binazzi, a Luigi Fabbri per citare i più conosciuti. Non sono molti gli studi e le notizie sul confino di quel primo periodo, ma, rileggendo memorie e ricerche del periodo successivo più studiato, quello fascista, un’idea ci si può fare.

Per gli anarchici, ma per il mondo dei “sovversivi” in generale, la vita da confinato comportava anche un momento di riflessione, di scambio di esperienze, di studio. Ho negli occhi molti materiali, per esempio i quaderni che ho trovato nel fondo Giovanni Domaschi all’IISGA, quasi sicuramente scritti in bella calligrafia dalla Zelmira Peroni, anche lei al confino con il compagno della sua vita, Pasquale Binazzi. Zelmira e Pasquale nel periodo di confino a Lipari abitarono abitarono per un certo periodo in una casa al limitare del paese per avere un minimo di libertà di incontro in più, lei faceva lezione ai ragazzi del paese e chiedeva in cambio dei quaderni che poi riempiva di materiali di discussione da diffondere fra i compagni, quella che si sarebbe poi chiamata scuola quadri in tempi più vicini a noi e alla nostra esperienza, insomma. Non solo ma chi sapeva “istruiva” anche per l’alfabetizzazione chi non aveva avuto la fortuna di frequentare le scuole. Ricordo il racconto di un vecchio comunista con nostalgie anarchiche, Andrea Croccia, che mi raccontò che mentre era in ospedale in Sicilia nel periodo della prima guerra mondiale con le gambe tagliate fin sotto il ginocchio una maestra gli fece scuola e la soddisfazione di quando riuscì a leggere il primo scritto Fra Contadini di Malatesta. Nel dopoguerra guidò le lotte dei contadini che occuparono le terre in Calabria, fu responsabile dell’epurazione per la provincia di Cosenza, dimettendosi di fronte alle scelte scellerate di Togliatti con una lettera personale molto chiara, ma fino alla fine della sua vita ripeteva “fate leggere Fra contadini”.

Ecco quindi un’ipotesi plausibile delle ragioni per cui all’inizio del nuovo secolo la polizia segnala che da giovane anarchico ribelle, Oreste è diventato “un abile oratore e propagandista”. La cosa è dimostrata dal fatto che già dal 1899 ha cominciato a scrivere per vari giornali anarchici e invia corrispondenze anche a “L’Avanti”.

I frequenti arresti e condanne al domicilio coatto lo inducono a pensare di cambiare aria: nel 1902 a 28 anni arriva in Argentina a Buenos Aires dove esiste una forte presenza anarchica; appena arrivato tiene conferenze nel centro sociale del quartiere di lavoratori italiano per eccellenza, la Boca. Inizia cosi la sua lunga vita nei paesi del Sud America con giri di propaganda che lo rendono il miglior propagandista anarchico, impegnato nelle lotte sindacali e sociali, in collaborazioni a riviste, arrivando a fondarne e dirigerle. Soprattutto in Brasile ha modo di toccare con mano le condizioni in cui i migranti, soprattutto gli italiani, ultimi nella catena migratoria sono finiti a lavorare al posto degli schiavi dopo l’abolizione della schiavitù nera nel 1888. Pubblica un interessante opuscolo in migliaia di copie, Contra a immigracao, tradotto in francese e in italiano, che viene rilanciata da Luigi Molinari attraverso “L’Università Popolare” di Mantova. La denuncia delle condizioni di vita dei migranti, il disinteresse dei consoli italiani che preferiscono mantenere buoni rapporti coi grandi latifondisti gli attirano le attenzioni della polizia brasiliana, ma anche del governo italiano.

Partecipa alle lotte del proletariato dei vari paesi in cui si trova, spesso per sfuggire alla repressione governativa per le sue prese di posizioni decise contro i proprietari terrieri e gli industriali, ma anche contro la Chiesa, per gli abusi contro giovani vite e per una scelta invece di liberazione dalla religione.

Negli anni venti il vento di destra che trova realizzazioni in Italia, Germania, ma anche nel Sudamerica, portano Ristori, come molta parte degli anarchici, a intensificare la creazione di fronti unici rivoluzionari, secondo i deliberati del congresso di Bologna dell’Unione Anarchica Italiana del 1920. Così si impegna nella Alianca Libertadora Nacional, sorta nel 1933 in Brasile, partecipa alla guerra civile spagnola, forse a Barcellona come redattore e speaker radiofonico, non potendo certo partecipare attivamente alla battaglia armata per l’età avanzata e perché claudicante pare a causa di una delle tante fughe durante i tentativi di rimpatrio che lo videro protagonista.

La sua estradizione dalla Francia dove era finito in un campo per rifugiati dopo la Retirada, viene estradato in Italia e costretto a vivere ad Empoli. Dopo la sua fucilazione delle Cascine ci fu un interessante seguito che ben illustra la situazione che si stava preparando a livello politico nell’Italia che cercava la sua liberazione dalle forze conservatrici che gli avevano regalato un ventennio di dittatura (Capitalismo, Stato, Chiesa).

Il vescovo di Firenze, Delia Dalla Costa interviene presso i sacerdoti e fedeli, dopo la fucilazione delle Cascine:

Supplichiamo pertanto i sacerdoti e quanti sono costituiti in autorità ad adoperarsi perché, cessati i dissensi di ogni genere che dividono il nostro popolo, si consegua quella interna pacificazione degli animi che è da tutti così intensamente desiderata. Ogni cittadino sia esortato, anzi supplicato ad astenersi da qualunque violenza, mentre deve raccomandarsi l’umanità e il rispetto verso i soldati e i comandanti germanici. Occorre avvertire che insulti, vandalismi, uso di armi contro chicchessia, non solo non possono migliorare le condizioni, ma le aggravano indicibilmente perché danno origine a reazioni che in nessun modo debbono essere provocate. Quanto alle uccisioni di arbitrio provato o a tradimento, ricordiamo a tutti il quinto comandamento della legge – ‘non ammazzare’ – e tutti scongiuriamo a riflettere che il sangue chiama sangue”.

Enzo Enriques Agnoletti, che fa parte del CLN cittadino risponde con chiarezza sul foglio clandestino del Partito d’azione, svelando la doppiezza della Chiesa e dei suoi rappresentanti:

Eminenza, abbiamo letto con dolore e meraviglia la notificazione da lei diretta al clero e al popolo. Non si sa la ragione esatta dell’uccisione del colonnello Gobbi. Si sa solo che aveva fatto arrestare molti ufficiali e che si dava molto da fare perché gli arruolamenti a pro dei tedeschi avessero successo, pronto ad usare qualsiasi mezzo, compreso l’arresto di membri delle famiglie, per costringere a presentarsi quegli ufficiali e soldati che considerano un disonore infrangere un giuramento prestato. Si conosce invece la ragione dell’uccisione di cinque detenuti politici: dovevano soltanto scontare l’uccisione del colonnello Gobbi, cioè di una persona che non avevano mai vista o conosciuta”.

In questo stesso momento” continua la lettera “uomini nostri fratelli, creature umane, subiscono torture che fanno vergogna all’umanità. In via Foscolo 80, sede della milizia alle dipendenze della SS, si battono a morte gli arrestati, si appendono con le braccia legate finché svengono dal dolore, si traforano con le baionette, si butta loro dell’acqua bollente in bocca. Non abbiamo inteso nessuna parola di disapprovazione dalle sue labbra”.

Adriana Dadà

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